Ulisse è simbolo quasi assoluto della sfida umana più coraggiosa al mare, alla sua forza, alle sue insidie, ai suoi dei e ai suoi demoni.
NELL’ODISSEA Ulisse è un uomo “multiforme”, versatile, ingegnoso, fragile ma acuto, un eroe dell’intelligenza e astuzia. I suoi sforzi, la capacità di sopportare le sofferenze, la tenacia e la pazienza hanno un solo obiettivo: il ritorno in patria a Itaca. Prototipo dell’uomo avventuroso, l’immagine poetica del marinaio greco raccoglie in sè un indomabile dinamismo, la curiosità dell’ignoto, la conoscenza di nuove genti, pur esponendosi a pericoli non indifferenti. La sua intelligenza si manifesta non solo come acutezza d’ingegno e capacità di escogitare brillanti soluzioni, ma come razionalità, autocontrollo e desiderio di conoscenza.
(ODISSEA - Libro V - traduzione Pindemonte)
NELLA DIVINA COMMEDIA Ulisse è visto in modo diverso, è un “trasgressore”. Nell’Inferno è punito assieme a Diomede tra i consiglieri fraudolenti. La colpa a lui imputata è l’uso spregiudicato dell’intelligenza come volontà di infrangere ogni limite posto dall’uomo, una mancanza del senso della misura, un superbo orgoglio, un’infrazione del limite che lo porta alla punizione tra lingue di fuoco per chi ha troppo osato. Se l'Ulisse mitologico è l'astuto per eccellenza, in Dante il personaggio si arricchisce di introspezione, diviene il simbolo della sete di conoscenza che non vuole riconoscere limiti. La colpa di Ulisse, dunque, non risiede solo nell'abilità a costruire inganni, ma nell'abuso delle possibilità, pur positive, della ragione.
(Dante - Inferno XXVI, vv. 90 - 101)
LE COLONNE D’ERCOLE La sete di conoscenza, la ricerca di nuovi mondi da scoprire, di ciò che è ignoto e denso di pericoli, spinse Ulisse a oltrepassare anche “le Colonne d’Ercole” (lo stretto di Gibilterra), il limite invalicabile della terra conosciuta, considerate dagli antichi la fine del mondo abitato. << … venimmo a quella foce stretta dov' Ercule segnò li suoi riguardi…>> Riguardo alle Colonne d’Ercole, anticamente, con le barche a remi o a vela esistenti, non si passava dallo stretto, ma si veniva sempre ributtati nel Mediterraneo dalle correnti, dalle onde e dal vento. Ercole fu il primo a passarle, titolandole col proprio nome, quando passò lo stretto per andare a rapire i pomi d’oro custoditi in una isola dell’Oceano Atlantico guardata a vista da Atlanta, ma lui era un forzuto semidio e per gli uomini questo non fa testo. Ulisse fu il primo uomo ad attraversarle e, conoscendolo, immaginiamo che le abbia superate con l’intelligenza e l’astuzia. Arrivato alle colonne d'Ercole infranse la saggezza e ANDÒ OLTRE: andar oltre era nella sua natura. Nei versi seguenti, si legge il discorso che Ulisse, appena superate le colonne d’Ercole, fa al suo equipaggio per convincerlo a continuare nell’impresa: <<… considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".>> (Inferno, canto XXVI). Purtroppo questa esperienza sarà fatale, poiché ha sopravvalutato le proprie possibilità. Dante da un lato ammira il coraggio di Ulisse e il suo desiderio di conoscere; dall’altro denuncia la sua presunzione e descriverà il naufragio della sua nave di fronte alla montagna del Purgatorio quale giusta punizione divina.
LA TRAGICA MORTE DI ULISSE Le circostanze della morte di Ulisse sono un tema molto dibattuto. Secondo una credenza Ulisse morì per mano del figlio Telegono, avuto da Circe. Telegono Inviato dalla madre in cerca d'Ulisse per farsi conoscere da lui, approdò senza saperlo proprio ad Itaca e, per sfamare l'equipaggio della sua nave sprovvista di viveri, cominciò a devastare la campagna, provocando l'intervento di Ulisse che fu da lui mortalmente ferito. Ulisse, rammentando una fosca predizione del suo destino, si fece condurre dinanzi lo straniero, ed ebbe da lui la spiegazione del tragico equivoco che doveva costargli la vita. Dante invece nel canto XXVI dell’Inferno, dà una soluzione del tutto originale. Ulisse fece naufragio e morì insieme agli uomini della sua spedizione. Il suo naufragio è una riaffermazione dei limiti inviolabili posti da Dio all'uomo. Cinque mesi dopo il passaggio attraverso lo stretto di Gibilterra una montagna altissima si mostrò all'orizzonte. Da questa ebbe origine un turbine; la nave girò tre volte nel vortice delle onde, poi si inabissò; il mare si chiuse sopra di essa.
<< Tre volte il fé girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com' altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.
Riccardo Celentano
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